Settembre 2020: «Mamma, papà vi amo. Ora devo seguire l’uomo col cappuccio nero. Non ho più tempo. Perdonatemi». Bambino di Napoli apre la finestra del proprio balcone all’undicesimo piano e si lancia nel vuoto. È morto così, a undici anni, un preadolescente nel napoletano.
È di pochi giorni fa la notizia che avete appena letto.
Ma cosa è davvero successo, si domandano milioni di Italiani? Probabilmente a questa domanda potranno rispondere fra qualche giorno o mese gli inquirenti della Procura di Napoli.
Nei giornali appare il nome di Jonathan Galindo, associato ad un ben più noto il gioco “Blue Whale”. Jonathan Galindo e la Blue Whale hanno molte caratteristiche simili, in primis sono challenge o sfide che dovrebbero portare il giocatore a commettere atti autolesionistici o suicidali. Altra e più importante caratteristica è che entrambe le challenge sono leggende, si proprio leggende.
La Blue Whale, gioco che ha terrorizzato italiani e popolazione mondiale nel 2017, non era altro che una bufala o fake news derivata da una leggenda in Russia. Scopo di questa challenge doveva essere superare una serie di sfide che avrebbero portato il giocatore infine a suicidarsi.
Jonathan Galindo, famoso per il suicidio nel napoletano, è stato accusato di aver portato un undicenne a suicidarsi, ma è davvero così? In tempi non sospetti Massimo Polidoro del Cicap (Il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) che in un video pubblicato a luglio su youtube parlava già di questa challenge come una fake news. Jonathan Galindo, probabilmente, non è altro che un creepypasta, racconto dell’orrore, diventato virale grazie alla rete.
Ovviamente, sapere che quelle due challenge, erano e sono bufale, ci rincuora e riscalda il cuore. Ma non è sufficiente, infatti seppur leggende o bufale, queste possono ugualmente condizionare la psiche di bambini e adolescenti.
Il suicidio, seppur mediaticamente non rilevante, è una delle cause di morte più rilevanti, secondo l’OMS: “Ogni anno, nel mondo si suicidano quasi 800mila persone – quasi il doppio delle vittime di malaria o omicidi. Tra i giovani dai 15 ai 29 anni, il suicidio resta la seconda principale causa di morte dopo gli incidenti stradali” .
Secondo l’OMS, quindi, riguardo la fascia adolescenziale e dei giovani adulti il suicidio è la seconda causa più probabile di morte. Causa che bisogna attenzionare, poiché se non trattata può provocare un aumento delle morti. Grazie alla ricerca dell’OMS, e molte altre, possiamo capire quanto il fenomeno del suicidio possa colpire anche i nostri figli, soprattutto quei bambini e ragazzi che sono al contatto con condizioni economiche svantaggiose o non “accompagnati” durante l’utilizzo di strumenti tecnologici. E allora come difendere i nostri figli? In primis con un costante, ma non intrusivo, controllo. Osserviamo nostro figlio, i suoi comportamenti, i segni che potrebbero comparire sulle braccia o avanbracci. Si, parliamo di segni inflitti con lamette o attrezzi affilati. Se doveste vedere questi segni o atteggiamenti fuori dall’ordinario, non reagite aggressivamente, parlate empaticamente con vostro figlio, cercate di capire le cause che portano a quei gesti. Spesso i segnali di un prominente suicidio non sono nascosti, ma chi ha già iniziato ad avere idee suicidarie, probabilmente chiederà aiuto, servirà solamente ascoltare il ragazzo o il bambino attentamente.
Quello che consigliamo noi, equipe di #sosbenesserepsicologico, è di chiedere un consulto ad uno specialista, il nostro aiuto potrebbe essere sì alle volte “superfluo”, ma tante altre necessario.